09

Nov

IL BABYWEARING E LA KANGAROO MOTHER CARE

A cura di Laura Carta,

esperta in babywearing, pannolini lavabili, sonno del bambino

Il babywearing è la pratica che consente agli adulti (genitori o caregivers) di portare i neonati sul proprio corpo grazie all’utilizzo di fasce o supporti porta bebè.

Questa modalità apporta numerosi benefici di carattere emotivo e relazionale, ma è altresì indispensabile venga praticata in casi specifici, ovvero in seguito ad esigenze speciali quali:

  • Parto prematuro
  • Parto medicalizzato
  • Parto con successivo intervento chirurgico nel neonato
  • Disabilità del neonato
  • Asimmetria delle anche
  • Plagiocefalia

E’ estremamente importante, in questi casi, venire accompagnati da una figura specifica, adeguatamente formata e preparata, che sia in grado di accogliere lo stato d’animo dei genitori oltre che a trasmettere la tecnica corretta e specifica per la diade.

Esiste un termine specifico per parlare di babywearing nei bambini con esigenze speciali: Kangaroo Mother Care, Canguroterapia o Marsupioterapia.

Questa tecnica è stata sperimentata per la prima volta in una clinica di Bogotà, in Colombia, dove a causa di un numero ridotto di incubatrici a fronte dei neonati che ne avevano necessità, alcuni medici hanno proposto alle madri di sfruttare il loro calore corporeo per stabilizzare la temperatura dei bimbi prematuri.

Il tasso di mortalità dei neonati sottoposti a questo trattamento, alcuni dei quali nati molto presto, fu significativamente inferiore a quello dei bambini rimasti per tutto il tempo nelle incubatrici.

I risultati furono sorprendenti, a maggior ragione per il fatto che i successi descritti erano avvenuti in condizioni piuttosto disastrose, in un ospedale sovraffollato e scarsamente attrezzato, di certo non paragonabile agli standard europei.[1]

Portare la Kangaroo Mother Care all’interno dei reparti di terapia intensiva non è stato semplice: molti medici hanno opposto resistenza credendo che il solo contatto fisico non potesse essere sufficiente, o almeno non tanto quanto i raffinati macchinari di ultima generazione presente nei reparti di cliniche più o meno prestigiose.

Oggi fortunatamente in quasi tutte le TIN italiane e nel mondo si promuovono momenti di Kangaroo Mother Care con mamma e a volte anche con papà. Grazie agli ultimi studi scientifici, anche nella PNEI[2], si è potuto confermare come il contatto sia, soprattutto per i prematuri, un importante canale di riduzione dell’irritabilità: durante il contatto vi è una riduzione della frequenza cardiaca e un miglioramento nella saturazione di ossigeno, due indicatori monitorati costantemente nei neonati nati prima delle 36 settimane.[3]

 

[1] E. Kirkilionis – “I bambini vogliono essere portati” – Terra Nuova edizioni pgg. 85
[2] Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) consiste in un nuovo modello di cura della persona che si occupa dell’interazione reciproca tra il comportamento, l’attività mentale, il sistema nervoso, il sistema endocrino e la risposta immunitaria degli esseri umani
[3] M. Tagliaferro – “Cuore a cuore, vivere il babywearing” – Ouverture Edizioni, pgg 40

Come funziona, nella pratica, la Kangaroo Mother Care?

Quando un bebè nasce prematuramente o per motivi di salute è ricoverato in TIN, solitamente è sottoposto a cure mediche più o meno invasive.

La canguroterapia può essere proposta ai genitori dagli addetti ospedalieri oppure, in caso i genitori siano già a conoscenza di questa pratica, possono richiederla.

Si tratta molto semplicemente di adagiare il neonato sopra il petto di un genitore (o di un caregiver) e di fasciarlo attorno al corpo dell’adulto per un periodo di tempo. Lo strumento non dev’essere per forza una fascia porta bebè, poiché in questo caso non si effettua una vera e propria legatura. L’adulto è invitato a restare in posizione semi sdraiata e rilassata, in modo da regolare le funzioni corporee del neonato.
E’ possibile utilizzare una stoffa di qualsiasi tipo, preferibilmente in cotone, morbida ed elastica, che non vada a segnare la delicata pelle del neonato.

Non dimentichiamo che questa pratica è di estrema importanza anche per i genitori stessi: oltre al contatto fisico, grazie alla vicinanza sperimentata nell’atto del portare, si può infatti stabilire con maggior facilità un contatto emotivo.[1]

La nascita prematura è un evento imprevedibile che segna profondamente la famiglia che ne è coinvolta: essendo una condizione delicata e inaspettata, i genitori ripongono negli operatori sanitari tutta la fiducia e spesso si fanno da parte, feriti e ancora increduli di fronte all’accaduto.

Non appena le condizioni lo consentono, è preferibile che il bambino venga attaccato il più possibile al seno, pelle a pelle.

Quando beneficiano della marsupioterapia, i neonati stabilizzano le loro condizioni più velocemente, e vengono mantenuti al caldo, grazie alla temperatura corporea trasmessa dai genitori; questo trattamento consente una dimissione precoce rispetto ai bambini che non ne usufruiscono.

Un altro aspetto di importanza rilevante sia per la madre che per il bimbo è relativo alla conquista dell’allattamento, che in caso di nascita pretermine o fortemente medicalizzata subisce una partenza difficoltosa, a causa della lontananza del bebè della madre per essere seguito adeguatamente dall’equipe medica.

 

[1] E. Kirkilionis, “I bambini vogliono essere portati”, TerraNuova Edizioni

La KMC termina una volta dimessi dall’ospedale?

Abbiamo visto come questa tecnica sia utilizzata e promossa nei reparti di TIN in tutta Italia e nel mondo quando il bambino è stabile; abbiamo capito quanto sia importante per i genitori vivere dei momenti sintonizzati con il loro cucciolo e potremmo quindi chiederci come proseguire al meglio il percorso una volta che la famiglia prende tra le mani l’agognato foglio di dimissioni.

Portare in fascia (o in altri supporti ergonomici) è consigliato anche in seguito a questa esperienza.

I genitori, indubbiamente segnati da questo eventi, hanno bisogno di tempo per sentirsi veramente competenti nei confronti del loro bambino e devono imparare a fidarsi di lui e dei suoi segnali. Il bambino a sua volta, reduce dall’esperienza ospedaliera delle settimane o mesi passati, piano piano impara a fidarsi dell’ambiente nuovo e tranquillo di casa.

Non è più un bambino prematuro (paziente), bensì un neonato che ha bisogni primari e prioritari di contatti, vicinanza, protezione, di crescere, quindi di essere portato come tutti i bambini.[4]

 

[4] E. Weber, “Portare i piccoli”, il leone verde, pgg. 189

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