Quando un bebè nasce prematuramente o per motivi di salute è ricoverato in TIN, solitamente è sottoposto a cure mediche più o meno invasive.
La canguroterapia può essere proposta ai genitori dagli addetti ospedalieri oppure, in caso i genitori siano già a conoscenza di questa pratica, possono richiederla.
Si tratta molto semplicemente di adagiare il neonato sopra il petto di un genitore (o di un caregiver) e di fasciarlo attorno al corpo dell’adulto per un periodo di tempo. Lo strumento non dev’essere per forza una fascia porta bebè, poiché in questo caso non si effettua una vera e propria legatura. L’adulto è invitato a restare in posizione semi sdraiata e rilassata, in modo da regolare le funzioni corporee del neonato.
E’ possibile utilizzare una stoffa di qualsiasi tipo, preferibilmente in cotone, morbida ed elastica, che non vada a segnare la delicata pelle del neonato.
Non dimentichiamo che questa pratica è di estrema importanza anche per i genitori stessi: oltre al contatto fisico, grazie alla vicinanza sperimentata nell’atto del portare, si può infatti stabilire con maggior facilità un contatto emotivo.[1]
La nascita prematura è un evento imprevedibile che segna profondamente la famiglia che ne è coinvolta: essendo una condizione delicata e inaspettata, i genitori ripongono negli operatori sanitari tutta la fiducia e spesso si fanno da parte, feriti e ancora increduli di fronte all’accaduto.
Non appena le condizioni lo consentono, è preferibile che il bambino venga attaccato il più possibile al seno, pelle a pelle.
Quando beneficiano della marsupioterapia, i neonati stabilizzano le loro condizioni più velocemente, e vengono mantenuti al caldo, grazie alla temperatura corporea trasmessa dai genitori; questo trattamento consente una dimissione precoce rispetto ai bambini che non ne usufruiscono.
Un altro aspetto di importanza rilevante sia per la madre che per il bimbo è relativo alla conquista dell’allattamento, che in caso di nascita pretermine o fortemente medicalizzata subisce una partenza difficoltosa, a causa della lontananza del bebè della madre per essere seguito adeguatamente dall’equipe medica.
[1] E. Kirkilionis, “I bambini vogliono essere portati”, TerraNuova Edizioni